Perché la formazione anti-bias non funziona negli assessment aziendali
Ogni volta che parliamo di bias cognitivi nei processi HR, la reazione è la stessa: un cenno di assenso, un richiamo alla formazione e, qualche volta, un e-learning obbligatorio da completare entro fine mese.
Il punto è che i pregiudizi inconsci non spariscono dopo averli riconosciuti.
Perché non sono errori occasionali: sono scorciatoie di pensiero con cui il nostro cervello opera ogni giorno che non si disattivano semplicemente attraverso la formazione.
Ecco perché, quando si parla di assessment, il problema non è tanto il bias in sé… ma il modo in cui strutturiamo i processi che lo alimentano.
I bias cognitivi non si correggono, si disinnescano
I bias cognitivi sono automatismi mentali nati per aiutarci a decidere rapidamente. Ma nel contesto organizzativo possono diventare distorsioni sistematiche:
- Bias di affinità: favoriamo chi ci somiglia
- Effetto alone: una caratteristica positiva ci fa sovrastimare tutto il profilo
- Bias di disponibilità: ci ricordiamo solo ciò che è più recente o saliente
- Bias di conferma: cerchiamo solo conferme alle nostre ipotesi
Ecco la verità scomoda:
Non puoi “disattivare” questi meccanismi con la sola consapevolezza.
Lo confermano numerosi studi (es. PensieroCritico.eu, LUISS) che dimostrano come la formazione anti-bias abbia effetti transitori e spesso inefficaci sul comportamento reale.
Il nostro cervello torna alle abitudini cognitive appena si abbassa la soglia di vigilanza.
![]() I limiti (reali) del bias training e il ruolo della cultura aziendale |
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Molte organizzazioni investono in bias training, ma trascurano una realtà fondamentale: – Il bias training aumenta la consapevolezza, ma non garantisce cambiamento comportamentale. – Esiste un fenomeno chiamato immunità al cambiamento: le persone desiderano cambiare, ma meccanismi profondi li trattengono. – Spesso, il training crea un “effetto placebo organizzativo”: tutti si sentono più etici, ma i processi restano invariati. Le fonti di respiro più sistemico, che collegano bias cognitivi, cultura aziendale e antropologia organizzativa, evidenziano come i bias si normalizzino nelle pratiche quotidiane fino a diventare parte dell’identità culturale e come la resistenza organizzativa al cambiamento sia spesso radicata in bias culturali più profondi, non solo cognitivi. Come sottolinea anche Harvard Business Review (Why Diversity Programs Fail), senza cambiare i sistemi, la formazione serve a poco. |
Assessment: progettare per ridurre i bias
Se non possiamo rimuovere i bias individuali, allora dobbiamo progettare assessment che li rendano inefficaci.
Questi principi, derivati da metodologie come il design thinking e l’Instructional design, aiutano a creare processi di assessment più efficaci, equi e trasparenti.
Criteri di valutazione oggettivi e misurabili
La base di qualsiasi assessment anti-bias è la definizione di criteri chiari e specifici:
- Comportamenti osservabili: Definire cosa significa concretamente ogni competenza
- Scale di misurazione: Utilizzare griglie numeriche o descrittive precise
- Indicatori specifici: Identificare evidenze concrete per ogni livello di competenza
Colloqui e interviste strutturate
Gli strumenti di valutazione devono essere standardizzati:
- Domande predefinite: Ogni candidato risponde alle stesse domande
- Griglie di scoring: Criteri uniformi per valutare le risposte
- Tempi standardizzati: Durata consistente per ogni valutazione
Valutazione e feedback a 360°
Il coinvolgimento di più valutatori riduce l’impatto dei bias individuali:
- Panel di valutatori: Almeno 2-3 persone per ogni assessment
- Valutazioni indipendenti: Raccolta di giudizi separati prima del confronto
- Calibrazione: Momenti di allineamento sui criteri tra valutatori
Blind review e valutazione anonima
Quando possibile, separare la valutazione del contenuto dall’identità del valutato:
- CV anonimi: Rimuovere informazioni demografiche non rilevanti
- Valutazione per fasi: Prima il contenuto, poi l’identificazione
- Codifica dei profili: Utilizzare codici invece di nomi durante le valutazioni
![]() Il bias non si elimina. Si anticipa con il processo giusto |
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Il segreto non è chiedere alle persone di essere obiettive, ma progettare un contesto in cui anche un giudizio soggettivo non diventi distorsione. L’assessment non deve essere “neutrale”, ma consapevolmente strutturato. Un processo che previene l’errore è sempre più potente di uno che corregge a posteriori. |
L’approccio multi-step negli assessment moderni
Diversificazione degli strumenti di valutazione
Un assessment anti-bias efficace non si affida a un singolo strumento:
- Test psicometrici standardizzati: Forniscono dati quantitativi e confrontabili
- Simulazioni pratiche: Osservazione diretta di comportamenti in situazioni controllate
- Analisi di case study: Valutazione di capacità di problem-solving su casi reali
- Peer review: Feedback da colleghi e collaboratori
Separazione temporale delle valutazioni
Evitare di concentrare tutte le valutazioni in un unico momento:
- Osservazioni distribuite: Raccogliere dati in diversi contesti e momenti
- Cooling-off period: Pause tra diverse fasi di valutazione
- Rivalutazioni: Momenti di verifica e conferma dei giudizi
Metriche di monitoraggio
- Tasso di diversità: Proporzione di profili diversi nei risultati
- Consistenza inter-valutatore: Accordo tra diversi valutatori
- Predittività: Correlazione tra assessment e performance successiva
- Percezione di equità: Feedback dei partecipanti sul processo
Il caso Nestlé
Nestlé integra diversità, equità e inclusione nel proprio DNA aziendale attraverso un approccio strutturato e globale basato su parità di genere, inclusione delle persone con disabilità, supporto LGBTQIA+ e diversità generazionale. L’azienda utilizza dati anonimi e analisi dei processi di selezione per individuare e correggere disuguaglianze, riducendo i bias inconsci.
Tra i dati più significativi: 3,5 milioni di euro a iniziative a impatto sociale, e +35,2% delle posizioni dirigenziali occupate da donne,
Nestlé dimostra che la progettazione inclusiva porta benefici concreti su innovazione, soddisfazione e retention.
Digitalizzazione e bias algoritmici negli assessment
Opportunità della valutazione digitale
Gli strumenti digitali possono supportare assessment anti-bias attraverso:
Standardizzazione automatica: Stesse domande e criteri per tutti i candidati
Analisi quantitativa: Elaborazione di grandi quantità di dati comportamentali
Tracciabilità: Registrazione completa del processo decisionale
Anonimizzazione: Rimozione automatica di informazioni identificative
Tuttavia, attenzione al bias algoritmico: se il dataset di training riflette pregiudizi esistenti, l’IA li replica e amplifica.
Il rischio è affidarsi a sistemi che sembrano oggettivi, ma non lo sono.
![]() Come una piattaforma può rendere l’assessment più equo |
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La piattaforma di assessment SKIMUP consente di progettare processi di valutazione strutturati e tracciabili, basati su framework oggettivi, feedback adattivi e indicatori misurabili. Mappando le competenze attraverso criteri chiari, comportamenti osservabili e una valutazione continua nel tempo, SKIMUP aiuta a ridurre la soggettività e i bias legati alla disponibilità o alle prime impressioni. La tracciabilità e la trasparenza dei dati supportano una cultura della crescita equa e fondata sull’evidenza. |
I bias non si vincono. Si disinnescano
I bias cognitivi non sono una minaccia morale. Sono una sfida progettuale. Non è sufficiente sensibilizzare, serve ripensare i processi.
L’assessment aziendale può diventare uno specchio della cultura organizzativa o una leva per cambiarla.
A noi la scelta: continuare a correggere a valle… o iniziare a progettare meglio a monte.